lunedì 1 ottobre 2007

per sapere che fine ho fatto:

http://mad-emoiselle.blogspot.com

martedì 24 luglio 2007

ma quante braccia ti hanno stretta per diventare quel che sei?

perdo il senso del tempo tra sacchi a pelo, prati, spiagge, lenzuola altrui, treni, occupazioni, tende e cemento. si dilata e si restinge come un orologio molle di dalì, modellato dai kilometri, dalle situazioni, dai contatti e dalle sostanze, dal non dover passare sotto il giogo degli obblighi e delle costrizioni.
ed una memoria ingarbugliata che mischia i momenti, gli odori, i suoni, gli occhi, i visi, le facce, i posti come colori complementari, un trip psichedelico che confonde date e persone, che asporta le etichette sopra ciò che ho fatto (ma più probabilmente non le ho mai appiccicate!).
non è una novità che due settimane non rendano l'idea di tutto ciò che ora potrei scrivere a questa tastiera abbandonata, forse tralasciando ciò che non ho nemmeno fatto in tempo a fissare.
due settimane fa non riuscivo nemmeno a rendermi conto che avrei lasciato il lavoro, avrei voluto spendere qualche attimo a scrivere due righe, ma l'attimo è fuggito e ciò che mi sembrava così palpabile recandomi per l'ultima volta sul tavolino di formica ora mi sembra più distante della capitale europea più lontana. adesso i raggi filtrano tra i pini e mi sembra strano di essere qui ed avere quasi la certezza dove dormirò sta notte, una pelle profumata e pochi kilometri da volti conosciuti. perchè un giovedì nel cortile al caldo tra l'ombra delle gaggie selvagge, a caricare tavolini, amplificatori, sacchi di farina, piatti, impianto nei furgoni, ad adattare un'auto vecchia a ripostiglio, avanti indietro per una città bollente, con l'asfalto che si scioglie insieme alla frutta recuperata al mercato. un discount per l'acqua, un bar di quartiere per un tramezzino ed un gelato e trovarsi, en attendant godot sul cemento di un marciapiede di una zona industriale. l'adrenalina nel sangue per una nuova occupazione in presa diretta e trovarsi un'auto scintillante che sfrena di traverso e come un film fa uscire due individui che allungano velocemente un distintivo dicendo "polizia e favorite i documenti". mi rendo conto che un elenco in stile lista della spesa è sterile ed inutile, ma è per me che voglio abbozzare uno schizzo. è perchè non riesco a distinguere con chiarezza ciò che ho vissuto ed ogni giorno che passa si allontana e si amalgama negli altri barattoli di spezie e colori.
e un cancello aperto su un enorme capannone invaso dal bambù e dal verde che mangia cemento e ferro di una vecchia fabbrica. si inizia per quella che vuole essere un'esperienza di autogestione ed autoproduzione, solo quattro giorni per gettare ponti e barattare conoscenze.
se mi perdessi a scrivere di ciò che mi ha spinto a varcare il cancello, a descrivere le ragioni per cui credo in ciò che ho fatto, probabilmente cadrei in un testo argomentativo che non ho voglia di scrivere. perciò se penso alla polvere ed ai vetri rotti, al cavo spesso ed alla presa bianca e blu, all'enormità degli spazi graffittati, al rimbombo tra la ruggine, agli sbirri in blu e rosso che con un piede di porco in mano forzano il lucchetto, alla voce bonacciona di chi richiede i documenti, alla volante, all'adrenalina e l'incertezza tra il resistere e lo scappare, ed il rimanere, non sapendo dove mettere i piedi, è perchè quelle sono le sensazioni che mi varcavano mentre guardavo al di la della cancellata le divise. nel caldo agitato di un pomeriggio di periferia, con la gravità di norme penali che pesano sulla testa, non sapendo come muoversi e finire incolonnati ad attreversare la città nel traffico. al buio in un cortile a cercare di capire e decidersi come muoversi, come la mente tagliata in due. e trovarsi in una piazza sentendosi chiamare per nome dalla digos e non voltarmi camminando per la mia strada lasciando gli sbirri rosolare nella loro merda. pentoloni di pasta serviti in piazza alle quattro di mattina, quattro e mezza forse, con gli immigrati che escono per lavorare e non capisco che cazzo ci facciamo con tavoli e sedie stanchi su un piazzale. le mazzate della porta coperte da musica che non c'è, e poi a mattino, dormire nel prato di un cortile, con le zanzare
[...ça va continuer...]

e come al solito perdo la voglia di esternare la mia vena realista, le descrizioni mi sembrano ovvie e allo stesso tempo troppo distanti per sembrarmi interessanti.
anche sfogare la mia voglia con un vicino di tenda strano, con il quale finisco inevitabilemente per scambiarmi sguardi che vanno a finire in una fine nottata a ingarbugliarci in tenda. anche questo mi sembra troppo distante, eppure un po' di vino bianco attorno al fuoco e qualche canna ad amsterdam non devono essere una cortina troppo spessa. ed era l'altro ieri, a scoprire piercing anche dove non li avrei immaginati, a rifiutare amplessi sotto la doccia (cazzo, senza preservativo!), a gingillarmi con piercing su labbra e guancia, abbracciati sotto la pioggia e sentirmi dire "ti prego facciamolo, ti ho resistito tre volte e non potrei un'altra". e mio fratellino poco prima, ad interrompere, svegliandosi, due corpi che si lanciano sguardi falsamente innocenti e così ben mirati sin dall'inizio da parte di entrambi. perchè so fin troppo bene che di leggere un'etichetta di un sacco a pelo non ne fotteva nulla a nessuno dei due e forse non ci interessava nemmeno troppo come ci chiamavamo, dal momento che una rosa è sempre una rosa, comunque tu la voglia chiamare (ma da che trip esce fuori Shakespeare?). perchè a dispetto di qualsiasi dispaccio proibizionista, a me il thc fa venire voglia, tanta voglia. e l'erba ed il fumo ad amsterdam si comprano nei bar, come racconta estasiato il mio compagno di viaggio-fratellino-diciassettenne ai suoi amici che guardano con invidia la bustina di cimette. e mangiare hashish in una torta mi può portare davvero ad immaginare musica orientale e cammelli sersiani che vagano per un cesso di un campeggio, un albero che si trasforma in un elefante da ageofempire, il terreno pratoso che si inclina all'indietro, verso un cielo che prende le striature del mare. e i colori si mescolano, brillando insieme e distinti, accanto a suoni e rumori che sembrano aleggiare nell'aria. già, una bonghetta di vetro regalatami e mai usata (ma rotta e riacquistata) fa salire sensazioni ben diverse dalle allucinazioni dei villi intestinali, eppure quella voglia, mischiata agli ormoni irrefrenabili di una ventina d'anni, mi portano a non chiedermi perchè un italiano si ostini a parlare inglese, ma a voler solo sentire il suo corpo sul mio. e se ieri non ho dormito, infreddolita dal condizionatore di un treno notturno da Parigi, l'altroieri mi rigiravo stanca in un cortile erboso di Bruxelles, il giorno ancora prima, non dormivo vedendo l'arancione del nylon della tenda schiarirsi sempre più (ad Amsterdam).

martedì 3 luglio 2007

è luglio da tre giorni...

sgranare argilla sotto le gaggie di un edificio occupato, una pasta con troppo poco sugo e l'odore di saldatura, fagiolini e cetrioli nell'orto. le mani si incalliscono, ma mille idee si accalcano. sazio il mio desiderio adolescenziale di "fare qualcosa" e mi sembra di aver trovato la strada giusta.

domenica 1 luglio 2007

sehnsucht?

un'amalgama di colori e sensazioni si accalca sulle mie dita in attesa di essere trasformata in parole e frasi. il sabato mattina il telefono continua a squillare ed e sempre la calda voce francese al di la del filo. ma sono troppo timorosa, questa volta, per trasgredire alle voci sagge di tutti che, come sempre, mi consigliano di restare. insistenza che mi lascia un po' basita e gioco il peggio gioco dicendo "ti farò sapere" (del resto, dr. hannibal c'est le plus mechant des animals).
un pomeriggio caldo tra la brezza degli alberi di periferia, un'atmosfera che varrebbe la pena rincorrere, tra offerte di birra e un orto di caprette e piantine a sette punte, un'auto che non parte, tangenziale che sembra autostrada d'agosto, supermercati condizionati. e la sera, dopo tanto tempo, in un parco in cui ho lasciato un frammento di cuore, scarico cassette di verdura dall'orto e mi dimentico completamente di lanciare un'occhiata un po' più in la. e un mosaico in più non è una differenza abbastanza grande per segnare il tempo trascorso. e seduti a chiacchierare il tempo va (anche se un'assemblea strana e preferisco fornelli e fantasia). una strada al buio lungo la ferrovia, facce scure e semafori lampeggianti. arancio dei lampioni e grigio dell'asfalto si fondono ai margini del parabrezza. e con il sole in faccia di una mattinata afosa, due ragazze in un ingrosso di materiali edili sembrano extraterrestri, maschilismo cavalcante che vede tra i mattoni solo chi ha qualcosa che penzola tra le gambe. e "signorina mi raccomando, in senso di marcia!" perchè anche le auto le sanno usare solo loro. e poi un abbozzo di vita, alle undici caffè della sveglia (e, perchè, perchè non ci sono anche io?) in una strada proibita alle auto. poi l'angoscia degli ospedali, forse più ricordata, ma toccabile tra le strade di un isolato pieno di croci rosse e mura gialline, persone che traballano insieme alle loro lastre nelle cartelline gialle, stampelle, fasce e bendature anche tra chi cammina per le vie. espressioni tristi rassegnate di chi attende il bus con gli esiti in mano e, ancor più di chi sbuca su una barella dall'ascensore tra i camici bianchi che puzzano d'antibiotico. ed un bimbo scuro sulla soglia a scambiare monetine con premonizioni di buona fortuna per la guarigione. voglio andarmene togliendomi al più presto dall'inesorabilità biologica. ed i miei vecchietti si limitano ad ingoiare triatec e xanax (e se c'è qualcuno che si fa di morfina non sono nemmeno io a scrivere la ricetta).
un aperitivo che inizia alle nove, posticipato per ravioli e pollo da spolpare (odore del sangue di volatile che mi nausea) pochi sugli scalini colorati e caldi, musica e qualche canna. e veloce verso una festa tzigana che è già finita e scoprire che c'è chi parte e non dovrebbe. ritmo di un bongo in riva al fiume, la terra che sembra sabbia, insalate di pasta, couscous e grano, gente che balla, e qualche sagoma inaspettata. ho sete, ma non c'è altro da bere che il succo scuro di un pintone. so porre le basi per la mia infelicità e mi obbligo ad andarmene, so che mi aspetta un menu da preparare e servire. e su e giù per le scale con vassoi e pentole fino a che le gambe fanno male. incredibilmente per nulla a piegare in due i triangolini di pasta fresca, dosare il curcuma con le noci frantumate. ed è domenica, anche se il cielo si è scurito la viscosità del tempo torna a fare capolino.

martedì 26 giugno 2007

yabadabadabadoo!

inebriata dall'azzurro del cielo e dai fiori di magnoglia, mi rotolo nel prato con i fichi sulla schiena. niente di meglio dell'aria calda e nitida per festeggiare. more staccate al sole e zucchini profumati al basilico. il grano scuro e l'ombra di un albero tra l'avena. e per quest'anno ho finito! ho finito! penso ad archiviare i libri in soffitta, tiro fuori mille cose da fare e voglia di gettarmi
ho gli occhi di quella stanchezza felice, fatta d'estate e non più voglia di sentirmi chiamare "signorina"...
mi preparo a saldare ed a modellare l'argilla, a replicare fiori di zucchina ripieni e a raccogliere rossi pomodori. ho un vestito da cucire, delle pareti da inventare, un presidio per i compagni, un'assemblea, una faccia (forse) da rivedere, una piscina in cui sguazzare, freni da mettere a posto, altri buchi alle orecchio, bermi l'aria di una notte blu d'estate e luna. e tanto altro ed in fondo mi accontento di essere felice.

domenica 24 giugno 2007

e oggi me ne sto qua

ho riscoperto il gusto del tatto: mangio con le mani e appoggio i piedi sulla terra e le piastrelle
sogno labirintico e sconnesso nella luce del mattino
la calma di una serata fin troppo tranquilla, il calore del cemento restato al sole, l'aria a smuovere placida qualche foglia sotto i lampioni languidi, poche auto ed posto piuttosto vuoto.
avrei troppe domande da farmi, ma mi gratto via le incrostazioni da punti interrogativi.
mi ricordo di un'insalatiera unta che dovrei lavare e togliere dalla mia auto, a metà della notte in una viuzza di un quartiere "a rischio", con le portiere spalancate a scaricare cassette di libri e cibo.

a nanna

non mi ricordavo che l'alba fosse alle cinque
mi slaccio il reggiseno che il cielo è già blu
ed anche gli schiamazzi in cucina sembrano diminuire (ma mi preoccupa: le apparenze ingannano)
sarà una serata strana in cui devo andare a letto presto per poter studiare
sarà un clima che non ho respirato perchè c'era qualcosa di bizzarre nell'aria
sarà che c'era un'adrenalina in circolo prima di partire che mi avreva fatto presagire, ma
cahipirinha (o caipiroska?), fragole, meloni ed anguria su tavoli lerci
e sento raschiarmi in gola, lo so che non è il fumo dall'olanda, sarà questo da questi paesi troppo bassi.
l'altranno mi faceva male il collo per le canotte, aria gelida e sento fischare sopra i tetti un corvo in gabbia con cui un ragazzino ubriaco si diverte a chiacchierare

venerdì 22 giugno 2007

rum e panna

occhi spalancati: mi è bastata una goccia di armagnac nel thé verde con mia sorella, qualche endorfina randoom sparsa, caldo e aria d'estate, una granita alla menta ed una casa senza padroni per ritrovarmi a sorridere
in bicicletta in un'afa quasi tropicale, un medico giovane ed il suo bimbo carino, un esame che forse è il penultimo, un autista della gittittì che non maledirei, un'esercitatrice d'informatica umana, una bambina zingara che mi predice in cambio di venti centesimi un ragazzo dagli occhi azzurri da cui avere dei figli (ma il tipo attuale ha gli occhi scuri e poi non mi piace fare l'elemosina), i fiori di zucchina nell'orto da imbottire, l'idea pazza di una festa, domani finalmente a torino, cicche di sigarette e olive, l'odore del fumo in cucina che davvero sembra un'occupazione, un melone succoso ed arancione nel caldo del pranzo, un vestito rosa a quadretti da bambina
sono talmente contenta che mi dimentico di studiare, fremo di desiderio e non vedo l'ora di tornare a gioire

martedì 19 giugno 2007

hei oh let's go!

mi sento un po' un asintoto (che forse io sia una tangente?)
mi sento gli occhi aperti come in Arancia Meccanica -due puntelli tra le palpebre e la voglia di chiuderli- (ma mi manca il latte+)
le ore di studio sono perfette per recidere le doppie punte, ma ogni tanto capita di sforbiciare inutilmente verso un capello un po' più in la (bastardo! e dire che mi sembrava di averti preso)
no signora, i vigili non sono qua...non so dove siano ora, ma so che qui non ci sono da quattro o cinque anni
sì, mi chiedo se ho da vergognarmi di una me stessa di un lustro fa...e un po' mi viene da ridere pensando a Buckowski (no, no...l'alcol non c'entra e i cavalli neppure) tout se tient?
l'inerzia sarebbe finita, devo carburare per andare a vanti, ma mi sono scordata l'olio di cAlza e una nuvola copre il mio pannelo solare.
(ehi, oh, let's go!)

domenica 17 giugno 2007

hai dato da mangiare ai ragni?

nell'impresa impossibile (ma cruise ce l'ha fatta) di finirla con bodhisattva, mahayana, dharma, transustizzazione -porco allah e porco dio, porci anche visnu e shiva- guardo i fiori di magnoglia sfiorirmi davanti agli occhi e sazio i ragni degli angoli con mosche e polvere. le zampe esili e lunghe non riescono a capire che mi sono trasformata in una fly-hunter a tempo perso preferendo all'acchiappamosche solo le zampe spappolate di una zanzara tra le mie dita. e pensare che quell'insetto -ma il ragno è un insetto?- fosse una fanciulla presuntuosa mi riesce davvero difficile anche se lo vedo indaffararsi con la polvere al pari di una massaia.
no, non sono sadica, mi prodigo a compiacere gli orrorifici aracnidi.

sabato 16 giugno 2007

bastioni di cartone

mangio scaglie di trotra,
sul tavolo, una borsa azzurra,
i fiori di lavanda e le rose gialle
(sì come l'invidia)
cielo chiaro attraverso un vetro
assassina di mosche e della mia voglia
seduta con un penna a rattrappire la mano
e ho deciso di continuare senza dar fuoco alla massa di cellulosa che mi attornia
perchè l'arsenico avrà anche il gusto dell'inchiostro, ma l'inchiostro non so che gusto abbia
gabbia

giovedì 14 giugno 2007

lamponi

le foglie di vite americana penzolano al sole
un gallo canta, i muratori dall'altro lato della strada martellano ed un'auto passa.
la finestra è aperta perchè, anche se le nuvole minacciose ricoprono un angolo di cielo, è pur sempre giugno. e mi sembra così strano rileggere ciò che pensavo a dicembre o gennaio, ma sono capace di andare avanti. sento fischiare tra gli intonacatori e ripenso a vale con l'auto ferma in mezzo ai campi di grano. lei l'ho trovato chi cercava e, anche se mi viene un po' di tristezza a pensare a quando mi raccontava "niente baci se no diventa una cosa seria" (e io altro che lingua, anche se sapevo benissimo che non era ne sarebbe mai stata una storia seria), mi chiedo cosa stessi cercando io. E devo decidermi ad accantonare del tutto ciò che non è stato. ho qualche esame, ma anche tante speranze davanti e non vedo perchè dovrei arenarmi nell'appiccicoso zucchero filato dei primi mesi dell'anno. sento la radio che annuncia gli arresti ed anche se ho capito come funzionano queste merde, non riesco a non mischiare incazzatura e stupore. perchè la speranza che tutto sia meglio di ciò che è non mi ha abbandonata.

mercoledì 13 giugno 2007

abbracci e pietre

sorrido, anche se non ha smesso di piovere e il cielo è ancora plumbeo.
l'umidità invischia le notti e il sudore si attacca ai capelli ed alla schiena.
ma sono contenta. le luci arancioni di un quartiere di una città viva ed in continuo travaglio colorano i marciapiedi della una cena benefit davanti alla nuova occupazione. pollo e riso ai ceci, fichi e vino. musica e chiacchiere, abbracci per salutarsi e ridere. vivere su una scrivania non fa decisamente per me.
e arrivare davanti al portone colorato dell'ex caserma dei vigili temendo di aver sbagliato giorno, trovandolo ancora incatenato. e, davanti ad un'altra occupazione, per scoprire che ci sono i fasci poco più in la.
per tanti, "fasci" e "fascisti" sono due espressioni da relegare nel buio della storia, senza nulla da spartire con la vita di tutti i giorni. Altri le usano come comode categorie per riempirsi la bocca in prossimità di qualche evento nazionale scordandosi che gli antifascisti hanno lottato contro lo stato fascista, mentre per noi sono un'entità concreta, dipinta di rossobiancoeverde con celtiche nere. hanno facce brutte e capelli corti, caricature di se stessi con anfibi, pantaloni attillati e camicie nere, polo di marca e jeans firmati. certo, fossero solo questo sarebbero innocui, ma sono anche accoltellatori spalleggiati dallo stato, razzisti e xenofobi. e sono capaci di urlare, davanti ad un discount di un quartiere da sempre vivo per l'immigrazione, "pusher boia" ad ogni nigeriano che passa. e peccato che lo facciano dopo aver chiamato la polizia a difenderli, a coprire i loro striscioni con gli scudi e manganelli di uno stato che non ha altra scelta che schierarsi dalla loro parte. lo stato è gerarchia, autorità, coercizione, violenza "legittima", repressione, lo stato è fascista anche senza che i celerini ce lo ricordino cantandoci "faccetta nera". perchè magari la gente affacciata ai balconi che ci guardava (qualcuno impedendo ai fotografi della digos e dei giornali di salire per schedarci meglio)
l'ha anche pensato che eravamo folkloristici tutt'e due. da un lato del marciapiede noi, con i cani, vestiti neri, tatuaggi e piercing da farci urlare "acqua e sapone, con voi acqua e sapone" dall'altra loro, con le loro bandiere nefaste di un'ideologia merdosa, accompagnati da polizia e carabinieri antisommossa, pronta a mettersi in testa il loro casco da playmobil e prendere in mano il manganello. per chi non ne sa nulla (sì, perchè è facile chiudere gli occhi e cullare la propria coscienza nell'ignavia) possiamo perfino sembrare due facce della stessa medaglia, gli uni che ripetono sempre le stesse quattro frasi in un megafono affittato, gli altri che coprono "basta spaccio" con "morte al fascio" battendo su qualche cassonetto. eppure, l'illusione di stare al di sopra della barricata è solo un inconsistente palliativo per coscienze. è più facile continuare la propria vita nell'angolino in cui ci si è ritrovati, soprattutto quando questo è stato fin da subito dorato ed asciutto. un po' meno, forse, lo è per chi deve ricorrere alla rassegnazione o a qualche ideologia religiosa che faccia pensare che abbassare la testa in questa vita farà bere fiumi di miele e vedere i signorenostrodio nell'aldilà (esistono molte varianti: calcio, splendidi centri commerciali, auto truccate, tivù, vacanze tuttocompreso, l'importante è non varcare i confini). sono parole che avranno il gusto della retorica, ma se mi ritrovo in piazza ad urlare ci sarà qualche motivo. e se tutto mi fa schifo non mi accontento di un programma alla tele per non marcire, non mi basta lo stipendio a fine mese per poter tollerare la vita di merda che tutti i giorni mi causa il vendere mio tempo prezioso a qualcun'altro, non mi è sufficiente un cocktail in una discoteca fighetta dentro un sistema economico del cazzo per essere felice, non me ne fotte nulla di tutto ciò che mi vogliono propinare. voglio qualcosa di più. e creare situazioni umane in cui non ci siano quegli ostacoli alla mia ed altri individualità. ma la mia libertà, e vaffanculo alla visione liberalista di un Franklin di merda e compagnia bella**, non finisce dove inizia quella altrui, ma non può esserci se non c'è anche quella degli altri. e non rimane null'altro che lottare contro tutto ciò che l'opprime, stato e fascisti in primis.


martedì 12 giugno 2007

mal di testa

je ne reussis pas à étudier, à fermer ma tete dans les pages immobiles d'un livre inutile. Il me suffirait de parler avec quelqun, de rire ensemble et de ne pas pourrir su un bureau en faux bois blanc. c'est inutile, je me sents seule. Je sais que je dois attendre la fine des examens et l'unique façon de sourvivre c'est remplir l'attente en étudiant le plus possible
Bien que mes dents se puisssent plonger dans le jaune d'une peche mure, je voudrais pleurer, des larmes amères, sans aucune raison. J'ai decouvri ce que je savais déjà, mais que je preferais oublier, que ce que je suis en trian de faire ne sert à rien. RIEN.
Je l'ai trouvé le post où je rigolais de ma copine au téléphone et je me demande comme j'avais fait pour trouver le bonheur. j'ai mal au ventre maintenaint. c'est tards. c'est la faute aux examens c'est la faute à moi. je ne peux pad résistir parmi des murs roses et blancs, sur un parquet taché, je ne peux pas vivre assise! je veux me bouger, chanter, parler hurler, toucher, embrasser, conduir, rire, fumer, cuisiner, voir, vivre, ne pas rester ici avec une vieille encyclopedie dechirée. seule. le téléphone muet, au maximum une voix qui me demande si tout va bien, si j'ai pas bu car c'est un cuop de tel plutot bizar. non, je ne bois pas seule, sans personne je me limité à avaler litres de thé, mais je suppose que personne n'a envore trouvé des effects psychotropiques. soeur qui rentre, en regardant le portable elle prefere une prière fausse et hypocrite à s'arreter parler avec moi. je n'a autre solution que lire Aristote sur l'esclavage des anciens, en me trasformant dans une esclave bete, qui decide de sa volonté de se faire emprisonner par rejoindre un objectif dont elle s'en fiche.

domenica 10 giugno 2007

tousjour dimanche

velato pulsare di un angolo di testa, abbastanza pungente da impedirmi di concentrarmi sulle fotocopie sbiadite di una dispensa universitaria, ma non sufficiente per allontanarmi dalla tastiera. rileggo sorridente i post di ottobre, di quando non riuscivo a capire chi aspettava per parlarmi e mi salutava per cinque volte. strano rivedere le considerazioni scritte quando ancora non sapevo come sarebbe andata, nemmeno lo immaginavo, tra le foglie gialle e rosse, che ci sarebbe stato un giorno in cui l'avrei aspettato io. e avrei atteso (inutilmente) che il "ci vediamo martedì" pronunciato nella notte di una macchina ancora calda si trasformasse in realtà. ma che importa? è passato anche quello. e sta sera è inutile che mi sobbarchi il senso di colpa dell'ozio e i chilometri sola sotto la pioggia per vedermelo di sfuggita parlare con altre. ma era già un po' di settimane che andavo per gustarmi gli scambi d'idee e proposte, per respirare profonde boccate d'anarchia e film lasciando ben distante qualsiasi forma d'amore. e oggi non farebbe eccezione. gli acquazzoni mi portano fuoristrada ma è giugno, non ha senso tatuarsi l'epidermide con le sensazioni dei mesi freddi, anche se portavano con se' più calore e piacere di quelle che ho voluto costruirmi sinora.

sabato 9 giugno 2007

balconi, nuvole e greci

finestra aperta sul balcone, l'aria incerta di un giugno strano s'infila all'interno
sonno per la stanchezza di non aver fatto nulla
un pomeriggio con un cielo grigio attraverso il vetro, sedia su cui mi rigiro come in un letto d'insonne.
neanche riesco più a pensare che potrei salire su un'auto e andare, o forse ho solo perso cosa voglio cercare.
una banconota da venti euro a marcire stropicciata sul davanzale del bagno, quasi bastasse accartocciarlo il denaro per non averne più bisogno. fame nervosa nell'inutilità di letture antiche, foto di un orto, verde dei piselli e delle ortiche.
vorrei non dover studiare ma me lo sono scelto, vorrei non dover lavorare e mi chiedo se avrò il coraggio di non sceglierlo. viscosità e fluidità delle ore si intrecciano, non permettendomi neanche più di capire perchè non posso pedalare su una bicicletta o immergermi nell'acqua clorata dell'azzurro di una piscina. mia sorella che si guarda nello specchio le occhiaie tristi del ballo di quinta e qualche ricordo sparso dell'ultimo ultimo giorno di scuola. solo la media dell'otto, ma è valsa la pena entrare dal preside con segni di sbronza e seguirmi le ultime due ore del liceo. dopo aver visto l'alba per le strade di una cittadina di provincia, strisciando i pantaloni nuovi sul caldo dell'asfalto, tra vodka e un fumo troppo provinciale per essere buono, rotolandosi sulle piastelle di graniglia immaginando stelle al posto del lampadario. varcare la soglia con un'ora e mezza di ritardo, con le papille invischiate da un dolciastro thesanbenedetto, sentir ridere per la mia innocenza davanti al prof nell'affermare che due compagni sono a letto insieme. ancora quella complicità che ora, a distanza di due anni, è irremidiabilemte fuggita, anche se sono contenta di essere cresciuta. non so cosa fare, ma sono felice quando mi accorgo di poter ancora scegliere.

venerdì 8 giugno 2007

envie de sexe?

il n'y a pas que les gars qui aiment faire sexe. ils le croient, peut etre, que le plaisir ne soit qu'un désir masculin. je me réveille le matin des fois avec dans la tete des reves avec des corps, des langues, des bittes. et je voudrais les entendre réellement entre mes jambes, sous ma langue, parmi mes lèvres. je voudrais l'entendre réellement la langue avec la mienne, la sienne à lecher les petits seins, à me faire rejoindre le plaisir. c'est long un mois sans gars, ce sont encore plus interminables deux. c'est embetant d'etre seule, tes doigts sont bien loins de t'etre suffisants, les objects ne sont pas assez chauds et vivants. ahhhhhhhhh j'ai envie d'hurler. je pensait que c'était le désir d'un mec en particulier, je me le rappelle encore sur moi. mais, c'est pas comme ça. je le voulais pour ce qu'il répresentait pour moi, pas exclusivement pour le sexe. pour cela, ça va quiconque qu'il me plait. car, d'une partie je suis douce et tendre comme les hommes imagines réellement les filles, de l'autre, je m'en fiche des sentiments, je suis cinique, je ne récherche que mon plaisir. et, en réalitée, je ne mélange meme pas souvent les deux choses. et je me demande s'il faudrait partir, je sais, que au dela des dangers que mes amies attachées à l'idée du sexe comme amour veulent me prédir, qu'il suffirait un train, deuxcents kilometres et je obterais un gars, ou mieux une bitte. mais maintenaint je dois étudier, je dois travailler, je dois squattér, je dois...oui, je voudrais le faire. et l'alcohol me defence de me rappeler à ce que c'était réellement passé sur une plage, dans une voiture et dans une tente (la meme, oui, je me la rappelle deux semaines plus tards, mais c'était un autre gars). je ne me le rappele pas, lui. ce n'était rien d'autre qu'abstinence forcée, et, peut etre, c'était pire que maintenant.

giovedì 7 giugno 2007

cui repetita iuvant?

ogni tanto mi capita: mi addormento tra il cuscino e le lenzuola sporche con qualche lacrima repressa tra le palpebre e l'iride, sconsolata senza (troppi) motivi.
mosche che mi ronzano attorno e mi ribomba lontana la voce roca di fiorella mannoia, retaggio di qualche sghembo ricordo d'infanzia. ho una nausea latente e la pelle d'oca, gli occhi pesanti e mi perdo guardando trasognata lo zucchero al fondo di una tazzina di caffè.
trovare la normalità anche dove non avrei mai pensato, mette in dubbio la mia convinzione sulla possibilità di non farmi triturare dal marcio sgargiante che ci circonda. o, ancora una volta, è solo invidia per ciò che non riesco ad ottenere. anche se, mai posso dire di esserci arrivata così vicino. alla basa gli stessi geni mescolati diversamente a distanza di qualche anno. ma neanche mi sembra più vero. e continuo ostinatamente a camminare verso una meta ignota. studio senza sapere davvero il perchè, mi chiedo l'utilità di ciò che mi rimane incollato ai nueroni e, se davvero, come dice una mia amica, c'è da incazzarsi perchè è tempo prezioso buttato. eppure, anche potendo tornare indietro non saprei cosa fare di diverso.
cazzo, mi sembro sempre una persona così per bene quando scrivo su sto blog. non so perchè mi perda in descrizioni cromatiche e sensazioni che sembrano di una bambola di porcellana.
in realtà non sono affatto così, in grado di incazzarmi e macinare rancore verso me stessa, con ferite all'aria che bruciano. e troppo spesso mi sembra di avere il disinfettante davanti agli occhi e non riuscire ad allungare il braccio che si incancrenisce. e preferire marcire.
perchè alla fine se fossi sincera con me stessa, potrei dirmi che il malessere mi arriva diretto da dentro, da quella mia incapacità ormai cronica di espormi per fare ciò che davvero vorrei. perchè va a finire che lo faccio lo stesso, ma nascondendomi e soffrendo per questo. senza contare che mi rode quella solitudine che da un lato mi colpisce nell'astinenza di almeno un mese da qualsiasi organo maschile (ma saprei ben risolvibile anche solo con una telefonata ed un treno!) e dall'altra quella solitudine un po' più radicata che forse mi ha sempre accompagnata e mi ha sempre fatto male soprattutto nel timore della sua indeterminatezza.
e poi mi chiedo se sia davvero necessario che io mi progetti il futuro, se non sarebbe meglio incominciarmi e poi vedere, e senza nemmeno darmi una risposta, cerco nel the le soluzioni che nemmeno so se voglio trovare.
e poi accantono tutto, mi basta un cazzo, un po' di colore, qualche amico, un po' di musica, qualche uscita, un po' di risate, un po' di alcool, incazzatura anarchica, qualche canna, una notte calda, un'alba improvvisa, una coincidenza simpatica, una carezza, una gelosia immotivata, qualcosa da fare, viaggi in testa e occupazioni e nemmeno penso più alle mie contraddizioni. aspetto un altro momento di debolezza per vederle con relativa chiarezza li davanti, cercando le giustificazioni che mi permettono di continuare a conviverci. ma a chi giovano le ripetizioni? perchè mi sembra che se anche ciò che mi invento per legittimarmi vari e sfumi di volta in volta, il problema resti uguale ed, in fondo, vorrà dire che non ho voglia di risolverlo, che sto bene così. me le porto dietro da molti mesi, quasi da qualche anno ormai, sarebbe forse più strano non avercele accanto, poter vedere in faccia il cielo che non continuare a lamentarmi e crociolarmi nell'autocommiserazione. sì, mi sono fatta l'ultimo prezzo. ho cercato di dire le cose come stanno, perchè penso proprio che stiano così.

(di nuovo) sola

accanto a me il sedile vuoto, il fischio della guarnizione del tergicristallo che porta con se' i suoi anni e una ventola al massimo perchè non si appanni il vetro. le strisce lunghe dei fari sull'asfalto viscido, la strada offuscata dal nero che brilla sotto la pioggia ed il verde che quasi si trasforma in giallo anche sotto il cielo grigio.
al telefono, sulla stessa sedia di sempre, con la cornetta che si porta sulla schiena gli anni, la situazione di cui ridevo qualche mese fa si ribalta, fredda e triste a mio discapito. e mi sento (di nuovo) sola.
me ne sono accorta poco dopo la chiamata, quando ho realizzato di non aver altro metro per misurare la mia vita che me stessa, di non poter neanche più azzardarmi a parlare al plurale (che non sia quello di un "noi" più ampio e caldo che, per fortuna, resiste ancora), di non pensare più con un sorriso a qualsiasi cosa che mi ricordasse un momento felice, a non avere più la certezza che qualcuno si sieda accanto a me. mi manca qualcuno tra le cui braccia gettarmi, macchie bianche sui vestiti da lavare, pensare "questo glielo devo proprio dire" e immaginare un discorso da trasformare in parole. contare affannosamente i giorni delle mestruazioni, rubare preservativi al supermercato e immaginarsi di poter partire su un treno in due verso l'ignoto. e, intanto, sento il freddo umido alla spalla, ossa solamente ventunenni che già reclamano un po' più di caldo. libro aperto sulla scrivania a guardarmi ed io che scuoto la testa non sapendo nemmeno perchè ho iniziato a sottolinearlo e perchè continuerò a ripeterlo fino a farmi segnare due cifre su un libretto dorato. eppure, è incredibile come diventino famigliari certe voci, come c'è da dare per scontato sentirsi chiamare per nome e rivolgere una battuta. e tra l'afa umida appiccicosa e la pioggia che punge gelida, non riesco nemmeno a capire se fa caldo o freddo.

venerdì 1 giugno 2007

lucciole sotto la pioggia

mi avevano detto che le lucciole brillano nei prati delle notti di maggio per una polverina fosforescente posata sul loro paffuto corpo da insetto. eppure, anche volando sotto le gocce di pioggia, continuano a luccicare. sì, mi avevano detto molte cose diverse da quelle che sono. ma sono contenta di potermene accorgere in tempo, prima che, assuefatta, le dia per scontate. e c'è da chiedersi cosa servano le candeline su una torta di ventiquattr'anni, mentre preferirei essere all'umido di un gazebo tra punk e chissà cos'altro. gli occhi mi pesano, ma lo studio è troppo poco, come dice Stevenson è meglio il verde dei campi e l'asfalto delle città.

sabato 26 maggio 2007

martes y miercoles

la strada brilla per l'asfalto bagnato, ma la pioggia non basta a portar via il caldo e le spighe di gramigna mature.
mi accoccolo nell'aria di questo maggio, aria di persone con cui condividere qualcosa.
una valigia da preparare per un settembre che sembra assai lontano, anche se le prossime settimane di esami sembrano ancor più distanti per la mia incapacità a volermi recludere. e star bene pensando a licenziarmi. e star bene ridendo di una torta al cioccolato attorno ad un boccale di vino. e star bene, discutendo di un improbabile sito internet e con il sole sulle braccia in bicicletta, toccandomi i calli sulle mani di manubrio e zappa. le ciliege si stanno arrossendo, la carne è sulla griglia e l'edera è estirpata dal terreno. fiori di zucchino croccanti nell'olio non appena raccolti, il profumo del basilico e quello del gelsomino non ancora sfiorito. sono contenta di questo cielo, anche se non è azzurro, di quella casa anche se non è (ancora?) la mia.

domenica 20 maggio 2007

uva troppo dolce

di solito, i chicchi d'uva ed i fichi maturi mi fanno respirare settembre, la pelle ancora calda dal sole d'estate. ma ora, non mi richiamo ad immagini reali di frutta succulenta addentata con piacere, piuttosto, penso ad esopo ed alla sua uva acerba. la volpe che si consola pensando che il grappolo che l'attraeva non è poi così buono, anzi, sicuramente non è ancora maturo.
seduta sull'erba fresca di un parco comunale, negli occhi la scia sfuocata delle fiamme dei giocolieri, una luce truce che colpisce il cadavere di un agnellino, capisco di averci sparso troppo zucchero sopra quel racimolo senza ancora fruttosio. e se ora mi accorgo della sua insipidità non è perchè non riesco più ad arrivarci, sfuggito tra le dita del tempo, ma semplicemente perchè mi sono armata di un panno morbido e l'ho strofinato sulle mie lenti offuscate. certo, avevo il bisogno fisiologico di sentire un po' di dolcezza sulle papille gustative, ma, anche se non sempre consapevolmente, l'avevo capito che non era altro che edulcorante. e ora, grazie al sole che splende, cerco di scovare zucchero in abbondanza, grezzo ed autentico. e finchè non lo trovo, provo ad addentare qualsiasi polpa invitante, senza curarmi della sua composizione. prima di un inizio c'è stata una fine, ed è per questo che sorrido alle pendici di un'estate che deve ancora iniziare ed una primavera agli sgoccioli. e sorrido anche un po' di me stessa, della mia pachidermica insicurezza con cui è più facile convivere che farla sparire. ma sono felice.

giovedì 17 maggio 2007

fiori e cioccolato

attimi di serenità anche senza i brividi umidi del contatto maschile
per raffreddare una torta la cioccolato serve il freddo, ma se n'è andato insieme a qualcun'altro
e sono rimasti i grilli e le foglie verdi, i caprifogli, le fragole e le ciliegie rubate
osservare il fumo di una sigaretta che vola via da chi non avresti mai pensato potesse chiacchierare così beatamente con te e ridere nella notte morbida e calda
voglia di preparare bagagli ma non conoscere nemmeno la meta che voglio pormi
e sbagliare, decidendo di fermarmi a cena nel posto che per sbaglio chiamo casa, arrivando a sentirmi l'astio gettato addosso da chi ha paura che me ne vada. e sarà troppo amore, ma sicuramente non mi aiuta.
il grano sta maturando, la segale già è bionda, mi chiedo perchè dovrei aver voglia di recludermi per immagazzinare centinaia di pagine ingiallite di libri di biblioteca.
ho voglia di un abbraccio, ma si avvicina l'estate e mi accontento anche solo di un bacio tutto lingua e niente testa. perchè ho uno zaino che freme in un naylon nell'armadio, ho un costume nuovo di azzurro accecante, ho qualche canotta dalla schiena scoperta che ha tanta voglia di vedere un po' di luce, anzi, forse un po' di buio di qualche notte calda. è la mia incapacità a programmare il futuro, a non riuscirmi ad immaginare in tailleur dietro una scrivania o con uno spumoso abito bianco da sposa innocente. perchè anche se il mio viso e i miei occhi chiari traggono in inganno, ben poche sono le leggi che rispetto.
rido e sorrido, sto bene sospesa sulle liane del glicine sfiorito. mi sto prendendo troppo tempo per pensare, ma in fondo è incredibile come vedere il cielo stellato delle tre di un mercoledì a metà settimana non mi faccia nemmeno più strano.

martedì 15 maggio 2007

house

l'italiano non aiuta e il francese neppure, il latino mi sfugge mentre solo l'inglese taglia con nettezza i confini della differenza: house non è home, così come home è ben lungi dall'essere la mia house.
restare a cena a casa dovrebbe essere la normalità forse, ma ho la fortuna che sia un'eccezione. ero stanca per orari sballati e troppo movimento, voglia di tranquillità e calma, ma ho sbagliato tutto. il posto in cui dovevo cercarle non era sicuramente qui. sempre più gabbia e prigione, magari dorata e con qualche diamante, ma anche una sola sbarra è di troppo.
e forse sono più felice così, anche se ogni tanto mi appaiono in flash le innumerevoli differenze e tutte le cose che non sanno. ma se riesco ad andarmene alle sei e trenta con i cielo azzurro e ritornarvi con l'alba qualche giorno dopo in fondo non mi posso nemmeno lamentare. perchè altrimenti avrei già riempito uno zaino ed una valigia.

giro tondo

mi rileggo e sono serena (no, niente giochi di parole)
non ho ancora esaurito la stanchezza accumulata, ma sono felice di averla raccolta
perchè non è stata da sola su un libro o una scrivania, no, piuttosto a ridere e scherzare innaffiati di vodka lemon, olive, caffè e pizza
con inaudita serietà a risentire un po' preoccupata "che ne faremo delle camicie nere" e poi vedere davvero gli sbirri caricare e sentirmi dare dall'idiota da un digos dimmerda (che è stato puntualmente informato della sua condizione). e fuggire alla proprietà cambiandomi t-shirt nel bagno, dopo essere entrata a sgamo, grazie ad un'amica, alla fiera del libro
tirare un carrello di una spesa per una cena a cui non credo di riuscire ad andare, più assonnata di quanto posso essere su un bus svegliandomi di soprassalto solo a grido "biglietti prego", ma è uno scherzo, per fortuna
certo, forse non è la stessa cosa che camminare 48 ore insonne in una manifestazione oceanica in compagnia di pensieri caldi e morbidi, ma nel frattempo è l'aria ad essersi scaldata e non sono mai stata così illusa da credere ciecamente in quella sofficezza.

domenica 13 maggio 2007

un po' di muri

l'alba su un fiume, il tramonto sotto un ponte che accende le sue luci
il rosa del cielo spazzato dal vento e dall'acqua che scorre
i clacson e le auto con i fari accesi in coda per la movida
e noi da una parte a guardare tutto e reinventarcelo a suon di hamburger e verdure
sullo sfondo di spettacoli trash sento che mi manca qualcosa ma non so davvero cosa farci
e mi limito ad andarmene con una borsa di naylon in mano, oltrepassando i grumi di maghrebini che hanno finito la nottata, e guidare con un cielo troppo chiaro sulla testa, senza nessuna stella e solo brina e nebbia sui prati.
ho gli occhi stanchi e la bocca troppo asciutta, ma in fondo sono stata bene e mi spiace andarmene, perchè se penso al silenzio di qualche anno fa questi giorni sono pieni di suoni e musica.

sabato 12 maggio 2007

maggio

may
may come
diceva tanti anni fa una mia amica sperando in chissà che cosa
il caldo si respira nell'aria della notte, nella brezza di un parco che profuma d'erba tagliata
il gelsomino, che spartisce con il vapore di verdure e carne grigliata solo la serenità di una situazione, mi accompagan quando rientro
telefono seduta sul granito caldo di uno scalino lasciato al sole, mentre guardo gambe muoversi lente lungo il sentiero, sorrido, anche se forse vorrei mettermi a corrergli dietro per poi non sapere nemmeno cosa dire. del resto, anche quando me lo chiedono, non so proprio cosa rispondere.
ci vediamo!

lunedì 7 maggio 2007

sparta

ho sempre odiato la matematica perchè non riuscivo a capirla
ora mi accorgo, in una notte limpida di luci lontane, di non capire tante altre cose senza riuscire ad odiarle...forse mi è addirittura più facile scagliarmi contro ciò che capisco fin troppo bene, banalmente il belligerante machismo di un'americanata che non può far null'altro che ridere
continuo a macinare chilometri perchè è meglio un tratto di asfalto in più che il vuoto di pareti asettiche senza un sorriso che non sia tirato e dovuto ad una battuta amara
un rum e pera che mi impedisce la conversazione su un tavolino d'acciaio pulito che per fortuna non lascia stampigliare nella mente momenti inutili
una fermata di bus alla undici di sera, navigando in un asfalto caldo, tra i volti di una città che per davvero non sta mai ferma, anche se c'è chi ruba da bastardo un cellulare ad un barbone. certo, lui non li avrebbe mai chiamati gli sbirri, ma nemmeno io che ho la pelle bianca e le gambe relativamente veloci.
ed ancora, un individuo che scavalca una staccionata, ed anche se orami l'effetto calmante di buon thc è lontano, non riesco ad impanicarmi più di quanto non faccia abitualmente.
non so più dove stare, mi alzo con un sorriso alla sei di mattina guardando il cielo dipinto di rosa ed azzurro, pedalo tra gaggie ancora fiorite e qualche altro profumo, mi ricordo della prima lucciola di un maggio sinora freddo ed umido. ma l'altro emisfero è perso tra i rimasugli di un sogno strano, che non vorrei mai si realizzasse, anche se forse sarebbe uno dei metodi per iniziare a capire qualcosa.

mercoledì 2 maggio 2007

quattro giorni

ammicco stanca allo schermo, dopo un viaggio senza tachimetro ne' tempo tra il verde della pianura padana
un risveglio tra i fili d'erba e qualche papavero, le colline dolci davanti insieme a cascine di mattoni e legna
una tenda imbevuta in piacevoli ricordi
giro per il mercato tra fornai e bancarelle di frutta raccogliendo ciò che il consumismo butterebbe
e progetti per viaggi più o meno immaginari tra monti, frontiere e città
prosciutto, aceto balsamico ed olio per motore
un fiumiciattolo tra le oche e le spighe dove cerchiamo le terme
l'asfalto umido di pozzanghere appena create, qualche lampo e tuono, ma l'acqua è vita, anche se si ritorna a casa
con tutto ciò che mi pesa, così distante dal bene che ho vissuto, sentendomi felice e contenta
e chiedersi attorno ad un tavolo di lambrusco e pasta vegana come fare per avvicinarsi alla rivoluzione, senza stare ad aspettarla bevendo cocacola.
il tempo, al solito, si dilata ma si comprime non appena arrivo qui, non riuscendo neppure più a ricordare se un'auto di sbirri in sirena l'abbiamo bloccata ad asti o alessandria.

giovedì 26 aprile 2007

engagée

eco dei passi nella stanze vuote
fruscio delle ruote sull'asfalto secco
pedalate fluide lungo i binari
voglia di caffè, per tenermi gli occhi aperti
ma forse più desiderio di tenerli chiusi, ma non da soli
un filmetto di una commediola stupida che mi fulmina nella banale semplicità della soluzione
ma non voglio crederci
e farcisco panini e servo couscous benefit antifa
in fondo, il venticinque aprile non è un giorno qualsiasi
e un concerto punk è sicuramente meglio delle vuote parole istituzionali, meglio di chi prova ad irrigidire dietro i monumenti di pietra e marmo il cuore pulsante della ribellione contro ogni fascismo
eppure non è questo che si cela in primo piano dietro il mio sipario, ormai non è altro che uno sfondo interiorizzato dal quale non posso staccarmi. e, su di esso, parole sorrisi e un pizzico di solitudine, perchè mi accade sempre di sbattere contro briciole di depressione in mezzo al mare della serenità.

domenica 22 aprile 2007

viene prima la domenica o il sabato?

niente astio, l'alcol è già intervenuto a mediare prima tra razionalità ed emozioni
e ripetermi, sorseggiando un bicchiere un po' aspro di arancia e rum, che io non credo nella proprietà, quindi è inutile che sia possessiva (come se le leggi di mercato c'entrassero qualcosa)
ma serenità forse un po' più che ostentata e non sono solo quattro battute scambiate in bagno come se fosse, ma non lo è, qualche mese fa
voglia incessante di vivere e se non come me lo sono immaginato nel modo migliore che mi capita, perchè tutto potrebbe andare meglio, ma in fondo va terribilmente bene così
non dico che vorrei abbracciarlo senza maglietta, dicendogli che non mi ricordo se è stato un sogno freudiano o la realtà essermene andata mandandolo affanculo; tra un bacio e l'altro mi piacerebbe chiedergli se fa così con tutte o solo quelle che ci stanno (che poi mica devono essere troppe). godere della sconfitta altrui non è leale, incamerare gocce di astio fino a scoppiare forse è solo incomprensibile agli occhi d'altri
voglia di non sentirsi debole con gli sguardi maliziosi degli altri puntati addosso e annegare nell'orgoglio
la testa, neanche avesse un'elica dei duplo, la sento salire e staccarsi dalle membra formicolanti di anestetico piacere. tra le dita una brace molliccia rende tutto più vivido ed alla fine mi ritrovo a sorridere.
avrei tanta voglia che babbo natale e la befana mi portassero un bastimento carico di melassa e un po' di zucchero per poterli spalmare su di me e chi mi attornia
e invece, solo gradini granitici da cui parlare di pillole per la gatta e lanciare occhiate oltre
ho la testa che mi si appallottola però avrei tanta voglia di trovare un padre per i miei figli
immagine distorta di un sogno che rivisita una lingua di ragazzo di vent'anni attorno ai capezzoli in un bimbo da allattare, tenendolo in braccio e cullandolo con una ninna nanna
è mezzogiorno, buona notte...aspetto la sera per risvegliarmi

martedì 17 aprile 2007

trenta e lode

profumo di lillà e calore d'asfalto
sapore di fragole ed umido di una foglia
carezze del sole e dell'aria tra i capelli in bicicletta
i banchi del mercato rigogliosi di frutta e quelli di un'aula con una stilografica d'inchiostro blu a coprire fitti i fogli
respiro glicine tra un caffè ed un papavero
registri ed assegni non possono essere i miei obiettivi
gente e persone che troppo mi mancano, forse sì
intrico di vie umide e fresche
un campo verde ed uno giallo sotto l'azzurro, forse anche

domenica 15 aprile 2007

catene di carta

limpidezza luccicante
raggi di striscio a colorare l'aria
caldo vivo d'insetti e di farfalle
tensione di un esame mediata dall'irrealità del tempo che sembra scorrere su un asse parallelo
isola d'azzurro senza fili per il mondo
film d'estate e voglia di partire, anche se far uscire dall'armadio zaino e atlanti non cambia la sedia su cui sono obbligata a restare seduta
corsa ad ostacoli tra libri e fogli, con una matita in mano e la mente altrove
zazie è nel metro', io di sicuro non qua
odore di salsicce a mezzogiorno e la mia voglia di dolcezza è lasciare sul fondo della tazzina di caffè lo zucchero insolubile, mentre sciolgo una scheggia di cioccolato fondente tra le labbra
telefono muto e voglia di baci
cazzo, devo studiare!

giovedì 5 aprile 2007

di casa

sorrido quasi inebetita
mi accorgo solo ora che non potrei fare altro
l'erba, le spighe di grano da maturare, le nuvole rosa, il verde del mais, la gidula fra i denti, i soffioni ancora gialli, i petali di ciliegio, i boccioli tra i rovi, la pioggia trasparente, le rondini, le cinciallegre, qualche nido di tortora, i rami vestiti a nuovo forse ci sono sempre stati
ma mi è sempre mancato ciò che sto avendo, forse solo di striscio
guardarsi negli occhi sotto le nuvole che lasciano spazio alla luna tonda, accanto ad un punto di fuga illuminato d'arancio, fino a gettarsi l'uno dentro l'altro
ma è anche un ex manicomio che arriva a sorridere, privato di tutto ciò che lo rendeva osceno, a farmi felice. perchè non avevo mai respirato così a lungo la libertà da accorgermi che protegge ed è ben diversa dall'abisso senza fondo a cui le sbarre ci impediscono di arrivare.
un tavolo di volti familiari che divengono amici e riuscire a parlare senza la maschera della mia stessa faccia. sì, sono contenta di poter avere sotto le mie dita quei capelli, di avere nel mio sguardo quella gente, di trovarmi il palmo invischiato di bianco.
soffice carezza della vita senza autorità, salti oltre le pozzanghere d'acqua piovuta da poco.
e non posso che continuare a tenere stupefatta i miei occhi spalancati, come nell'intento di immagazzinare l'aria che mi circonda. e spero che continui...

quattro aprile

credevo di essermi sbagliata, pensavo di aver sopravvalutato troppo indizi sparsi
invece, quasi incredibilmente, inaspettatamente, avevo un po' ragione
non c'entra nulla che i rami stiano rifiorendo, che cuccioli di foglie tenere schiariscano l'orizzonte, che il buio si stia ritagliando ore sempre più ristrette a cavallo delle giornate
e dopo aver rielaborato l'acido di una delusione, posso iniziare a spremere i prossimi limoni, tanto non dovrò berli fino a quando tutta la polpa sarà consumata
incazzarmi con una giacca esposta in un grande magazzino postindustriale perchè mi ricorda troppo chi ne ha una simile è davvero inutile, ma serve a dare un tocco d'umanità agli scaffali troppo ordinati
e vagare spaesata nel malessere di un grande centro commerciale, cercando un polpo fresco da servire con patate scotte ed un po' di prezzemolo
in realtà non so a che gioco giocare, ho paura di aver voglia di troppa tenerezza rispetto a quella che posso ottenere, forse sarebbe meglio riemergesse un po' di quel cinismo ormonale che mi farebbe tornare a casa alle tre di notte con qualche soddisfacimento endorfinico maggiore. ma nel frattempo, mi basta stare al caldo.

lunedì 2 aprile 2007

capendo

mi guardo le dita ancora macchiate dai carciofi
il prosciutto crudo dopo il seitan è ancora più sublime, scusatemi vegani, ma preferisco l'autoproduzione.
viaggio veloce sul nastro di un'autostrada a tratti soleggiata e solo un breve pesto in autogrill.
ed ascoltare annoiata la voce di un'amica, perchè anche la sua vita, in fondo, mi sembra noiosa
sono cresciuta e non riesco a stupirmi sentendo le otto come ora per la nanna
e la pizza al caldo di una cappella sconsacrata, con il pesto ed il pomodoro, rientrando finalmente
ma il verdone scuro di una maglietta ormai non mi provoca nient'altro che scazzo, a torto forse, ma ho preteso troppo
e ritornando in una buia galleria di treno, tengo a freno l'istinto brutalmente adolescenziale di rendere noto a tutti " X. Z. ma sei un po' stronzo", perchè il pennarello è indelebile e sicuramente più costante di te.
ed è strano accoccolarsi più che a casa tra il morbido di un sacco a pelo, con la luce azzurra di una lampadina in mezzo ad altri respiri
e svegliarsi in un parco, sbagliando solo piastra, ma, per fortuna, l'energia è gratuita ed il the si scalda ugualmente
e poi tornare, non vedendo nient'altro che l'inutilità dell'opulenza, la gola secca e le urla passive di chi urla perchè non si è abbastanza in riga.
e se in un cuscino scuro non ho pianto è solo per merito del calore che ho respirato, una soddisfazione nel riuscire in ciò che qualche tempo fa non avrei nemmeno sperato
e marzo è corso via in fretta, e poca importanza hanno i giorni, perchè febbraio si era limitato a vent'otto ma era stato molto più lento a sparire.

edilizia

mio padre ha fatto il geometra
e si vede: a tavola prova anche a tracciare righe per inquadrare la mia vita
costruzione regolare, proiezioni ortonometriche nel futuro
ma io non sono una casa e, se proprio lo devo essere, assomiglio a qualche edificio decostruttivista. perchè mi mette paura anche nel sentire definiti quei desideri che, tuttosommato, si avvicinano con buona approssimazione a quello che davvero ho osato pensare
così nudi, nero su bianco come calcoli del cemento mi inquietano e mi ingabbiano
perchè, in realtà non me ne fotte un cazzo del lavoro ed allo stesso tempo non riesco a trovare il coraggio per fuggirmene su una di quelle isole metropolitane in cui non esiste.
so che ci sono a galleggiare, universi concreti e reali, macchie di colore sulla superficia grigia dell'asfalto di questa società.
e sono troppo orgogliosa per accettare un'impalcatura che mi appoggi ed aiuti, perchè so che l'unica forma che mi consentirebbe è quella in regola con la bolla d'aria.
e del resto, non riesco ad evadere dal presente di pensieri terribilmente ragazzineschi. stronzi che galleggiano sul mio water iniziano ad essercene troppi.
ma cosa importa? l'allacciamento alle fogne è l'ultimo scalino del progetto, senza l'acqua non si vive, ma le tubature vengono aperte solo a costruzione ultimata. o forse no, perchè se gli imbianchini devono diluire le vernici magari ne hanno bisogno, almeno, prima che il colore si secchi e si incrosti divenedo inservibile.
se i tubi innocenti dei ponteggi mi ingabbiano, sento però il bisogno di qualche trabattello che si muova con me, che si sposti a seconda dei movimenti tellurici che mi fanno cambiare posizione.
perchè gli edifici isolati fanno paura, incutono timore ed odio, galere, caserme, lager, opg, cpt e fabbriche sono ben delimitate dai loro fili spinati e torrette di guardia.

giovedì 29 marzo 2007

denti limpidi

avere a pochi centimetri l'oggetto del desiderio e vederci scritto "non toccare"
ma sorride e mi fa il solletico
ho tanta voglia di riiniziare e proseguire
e siamo terribilmente umani, anche se squatter e anarchici, o forse proprio per quello
voglia di un abbraccio, e nessun desiderio per un posto ai limiti della società, perchè è il caso di uscirne,
strafogandosi nel saumon fumé accompagnato da sorbetto al limone innaffiato da wodka russa
e un omino che cerca un attaccapanni mi fa sorridere, anche se lo vorrei veder andarsene per lasciarmi sola con suo figlio
e appuntamenti fissi non hanno nulla a che fare con la monotonia di una quotidianità piatta, forse perchè non c'è mai nulla di uguale
sono contenta, ma un po' d'incompletezza mi si è spalmata addosso...

mercoledì 28 marzo 2007

pioggia e luce

vulnerabile come l'innocenza di un bimbo
uno sguardo, una parola, lo sfiorarsi
bastano per far rinascere l'illusione
nell'aria limpida lavata dalle gocce di pioggia non mi resta che attendere le aquile che ritornino a mangiarsela
perchè l'avevo accantonata insieme alla gelosia ed ad un preservativo intatto nella tasca anteriore della borsa
ma rileggo le pagine buie di un anno fa, quando sorridevo per ciò che ora mi lascerebbe indifferente e non avrei saputo pensare a ciò che ora mi fa ridere
ma la primavera è ancora le foglie verde acido sotto lo scroscio della pioggia, i piedi nelle pozzanghere ed i primi ricordi di uno squat caldo
ma anche un papavero, per la pazzia delle stagioni
paris combo orchestra i viali grigi che scorrono oltre i finestrini di un bus placido, in moto appena due ore dopo mezzogiorno
il vento fa ballare i rami al suono della musica che mi isola dai clacson e dalle frenate sull'asfalto
e mi accoccolo nella fresca fragranza di pulito appiccicata alle mie narici e a sensazioni che latitano per comparirmi in flash di ore trascorse
sarà il gusto di una canna impastata alla mia saliva quando mi sveglio a mantenere intatti i miei sensi

sabato 24 marzo 2007

telefonata

è difficile sognare da svegli, ma forse sono sempre rimasta addormentata
o più semplicemente mi chiedo se sul copione della mia vita ci abbia messo mano Ionesco
qualche spruzzatina qua e la di assurdo ogni tanto mi coglie impreparata
il sonno leggero della mattina alle sette viene infranto dalla suoneria del mio cellulare
non mi fossi addormentata presto ieri neanche avrei capito che si trattava di trilli autentici e non di un telefono immaginario
incredibilemente riesco ad appoggiare i piedi perterra e ad afferrare il cellulare
+3366NNNNNN
francia? avranno sbagliato numero, mi è già successo
"allo radduebbia?"
"proonto??"
allo?
pronto
pRonto?
allo?
allo chi?
c'est Jimi,tu te rappelle?
eh? ouais, je rappelle, mais c'est tot, j'comprends pas
j sort de la discotheque et je me suis dit, j'ai du credit, j'vai l'appler
quand tu viens a nice?
eh?
e la conversazione continua, dicendomi che aveva voglia di vedermi, che gli sarebbe piaciuto rincontrarmi...
"t'as envie de faire de betises? -on fait tousjour de betises"
che piuttosto veniva lui a torino, che se ho il ragazzo non importa, "on se cache"
guardo mia sorella che si sta preparando per la scuola scuotendo la testa incredula
voce calda che sicuramente non avrei saputo riconoscere e se devo essere sincera lo ricordo, sì ma non così bene da saperlo individuare in mezzo alla folla
rifiutare proposte di sesso mi lascia sempre un po' scocciata
"t'as pas envie de venir chez moi? si tu vien à nice j'ai un appartement"
ma ho come l'impressione che sia qualcosa di simile all'MDMA a spingerle, in questo caso
o almeno, lo spero, altrimenti ho la sensazione che dovrò ricredermi sull'inesistenza della malattia mentale
perchè sentirsi chiamare a otto mesi da una storia estiva (alle sette di mattina, per giunta!) pare davvero surreale, o, più che altro, senza senso, assurdamente sconclusionato. facce ed altri dettagli anatomici nascosti in una cartella remota, che già nel momento attuale suonavano falsi, figuriamoci nell'elaborazione dei ricordi.
mi convinco sempre più dell'esistenza di cose che io non posso capire.

martedì 20 marzo 2007

sono un elefante su un filo di una ragnatela*

getto la panna vuota nel cestino della cucina
immancabilmente riconoscibile noto il quadrato argentato dai bordi seghettati
e li vicino carta igienica ad appallottolare i resti ancora caldi della passione
naturalmente cattolica, perchè l'ipocrisia si spreca
o forse è solo l'invidia ad inacidire le mie parole
perchè io mi devo accontentare di auto, bagni, divani e tende, troppi ormoni e troppo poco romanticismo
e non avere poi neanche tutta la sicurezza che la stessa lingua capace di accarezzarmi al posto del detergente intimo mi rivolga il giorno dopo la parola
e forse non avrei mai condotto nessuno tra queste mura che odio, ma so che se non l'ho fatto è solo perchè non ce n'è stata l'occasione
perchè la stabilità di una relazione inizio davvero a chiedermi se non dipenda da me
e non riesco mai a capire se e dove sbaglio, ma so che deve essere così per forza, perchè non sono ancora riuscita ad abituarmi ad uno stesso cazzo.
in realtà, non so perchè ci soffra, eppure vedere anche quelle che erano le bimbe più sfigate avvicinarsi alla mia formica per farsi segnare l'amica yasmin un po' mi scuote
non rifuggo come qualcuno dalla stabilità di un rapporto, ci fosse l'accetterei ben volentieri, ma troppo spesso, qualunque cosa sia accaduta prima, magari anche più volte, illudendomi di una ricorsività così calda e piacevole, mi ritrovo a picchiettare i tasti da sola, notando che l'unico a tenermi al caldo sul mio letto è un piumone spelacchiato.
è inutile negare la mia tristezza per la mia disillusione, il mio ostinarmi a giocare a carte con le possibilità, anche se so fin troppo bene che io non mi sarei infilata una mano nelle mutande, settimana dopo settimana sempre più giù.
cammino sul selciato dissestato di una periferia posta paradossalmente al centro, le arance schiacciate e la frutta marcia a terra, porto a spasso borse di naylon come cagnolini, noncurante dei buchi nelle scarpe e degli strappi dei pantaloni. e sono sola come a constatare quella stretta fisica strangolarmi lo stomaco, dopo due vodke tirate giù alla goccia, due bicchieri di vodkalemon ghiacciato scorrermi nel giro di qualche secondo lungo l'esofago. e anche se rispondo, falsamente non curante, di non essere per nulla nervosa, in realtà stritolerei anche una lametta ce l'avessi tra le dita. mi ritrovo tra gli stessi colori di quella stanza che solo un mese prima era così calda ed ora mi sembra avvolta nel filo spinato. e mi chiedo cosa avrei potuto fare di diverso se non, come ho fatto, di godere di ogni istante, senza chiedermi cosa mi avrebbe aspettato dopo. rimpianti tanti ma nessun rimorso,e forse questa volta non ho nemmeno da rimpiangere nulla, ho fatto tutto quello che ho potuto e sono felice di tutto ciò che ho fatto. ma non mi basta, vorrei sentirmi dire parole non dette, ma non dovrebbe essere la mia bocca a pronunciarle.

*ps: la cosa non è per nulla interessante

domenica 18 marzo 2007

ortiche e cicoria

l'amaro del te' mescolato al caffe' mi impasta i denti con la sua patina porosa
teleschermo dei presentimenti realizza in anticipo le scene del vero
e questa volta nemmeno una lacrima, perchè, crollato una volta il castello di aria ed illusioni, non può più venir giù
e cerco i fiori tra le macerie, perchè so che ci sono
ostento indifferenza ma il piloro stringe, l'alcool trangugiato troppo velocemente, misto al gelo dei miei sentimenti, reagisce in un acido sorprendentemente amaro che si fa sentire in passi solitari sull'asfalto
ed anche la luna si è nascosta dietro qualche foglia di ortica, tappi e sassi contro cui scalciare un astio che non ha motivo di essere, se non in quegli ormoni che mi percorrono bollenti le vene, messi in circolo da un cuore assai irrazionale
pancardcor melodico mi scorre sulle orecchie, scalfendo solo di striscio la mia voglia di urlare. perchè non è rabbia, è amarezza. è aver voglia di vomitare, sentendosi la bile sulla lingua, catalogna sulle papille gustative ed in mezzo ai neuroni. ed è strano che in mezzo a saggi di etnolinguistica non mi accorga che morfologicamente amaro ed amare sembrano fratelli
mi scotto raccogliendo un'ortica e bevendo il succo del tarassaco che trae in inganno dal giallo così invitante del suo fiore.

venerdì 16 marzo 2007

mese

caselle asettiche di una ricetta per medicinali della mutua
troppi codici fiscali truccati dalle mie sviste
e la data...sì che giorno è?
160307, sorrido e non riesco proprio a ricordarmi un venerdì di un mese fa china sullo stesso tavolino, con un po' di adrenalina in più per comunicare i miei progetti
avrei pensato che i numeri non me li sarei ricordati, ma vedermeli davanti mi fa increspare le labbra
cosa c'è di diverso? un cielo più limpido, un'aria ancora più calda, i finestrini che non si appannano ed i pruni di via stradella fioriti a coprire la delta, esattamente come me li ricordavo due anni fa
qualche pesco e le forstizie gialle e l'erba accecantemente verde
e voglia di riiniziare con baci e qualcosa che avvicini di più nella notte, coordinare i ritmi dei respiri sempre più ravvicinati ed ansimanti
voglia che rimane appesa al filo dell'incertezza a fremere nella sua realizzazione lontana

giovedì 15 marzo 2007

erasmo

non vedo l'ora di partire...per ritornare
è paradossale, ma so che è uno scalino che devo salire, perchè solo dopo averlo passato, da un po' più in alto, posso provare a decidermi
ho compilato la domanda per l'erasmus, destinazione F-MARSEIL01
un po' di tensione l'ho avuta nel cliccare il pulsante "avanti" ed anche se mi è sembrato come dare l'ok per formattare il mio hd ed installarci linux, ho ben presente la differenza...perchè questa volta, il sistema operativo con cui sto giocando si chiama mia vita ed il kernel è vivo e pulsante, praticamente impossibile da ricompilare
faccio in fretta a disilludermi sui quei capelli neri ora ridotti di qualche centimetro e su quella lingua che mi ha mentito dicendomi di saper cucinare, ma mi prendo troppo tempo per decidere di attuare i miei desideri di vita ingarbugliati. questa volta ho avuto lampeggiante una scadenza ad obbligarmi, di quelle odiosamente burocratiche, fatte di spazi obbligatori da compilare con numeri e codicilli.
in realtà, non ho mai capito cosa voglio, nella fretta del decidere non ho mai guardato più lontano di quanto la mia passione del momento mi facesse andare e forse è l'unica cosa che non mi posso rimproverare

martedì 27 febbraio 2007

:)

respiro l'aria limpida
boccate di gioia sui prati verdi
lo scuro se n'è andato, lasciando rosa e azzurro specchiarsi nella mia mente
sorrido mentre saltello
sono felice
guardo una luna trasparente sullo sfondo chiaro e qualche ramo attorcigliato che la copre
canticchio mentre lo stereo manda a palla ma quant'è bello far l'amore
il prof che mi guarda storto mentre lascio l'aula prima del tempo, i viali dal pullman contornati d'alberi quasi fioriti che portano direttamente alle montagne
mi prendo cinque minuti per sfuggire in anticipo dal lavoro ma non riesco a non chinarmi per annusare le violette
la finestra aperta e sembra già estate, ma l'aria è frizzante
mi preparo a vendere libri o a servire qualche piatto...chissà

sabato 24 febbraio 2007

è passato così poco ma già sembra un'altra epoca

è incredibile
raddoppiare le ore di veglia portandole a scavalcare i limiti delle ventiquattrore giornaliere dilata la massa del tempo che mi sembra trascorso
o effettivamente mi manca chi l'altra settimana c'era ed ora è nascosto dietro chissà quale intrico di pensieri indecifrabili ai miei occhi
restare sveglia accanto ad una griglia per prevenire una manifestazione fascista, antifascisti antiautoritari, senza chiedere nulla al questore, perchè ordini ed imposizioni mi schifano comunque, senza delegare, perchè agire in prima persona per autoprodursi soluzioni di libertà
ed essere sgomberati, perchè se i fasci non hanno avuto il coraggio di avvicinarsi, per gli sbirri è semplice mascherarsi dietro uno scudo ed una divisa per tirar calci alle tue cose, gettare libri a terra e lasciare posto ai fascisti.
ho gli occhi irritati dalla mancanza di sonno, ma la testa non è così annebbiata, non ditemi che nella libertà deve esserci anche il diritto di manifestare per i fascisti. questa è la semplificazione più becera del pensiero benpensante, che si maschera dietro la presunzione di una fittizia posizione superpartes della democrazia per avvallare i peggiori delitti. perchè chi non è contro è pro, "anche se vi considerate assolti siete lo stesso coinvolti" cantava De Andrè. e chi non fa nulla davanti al fascismo, lascia che la merda su cui si basa dilaghi, ne è complice.

venerdì 23 febbraio 2007

alloro

ci sono persone che si costruiscono attorno un contenitore grandissimo e luccicante, l'obiettivo della loro vita è strofinarlo il più possibile per raggiungere il massimo della lucentezza. attaccarci lustrini fuori non impedisce che l'interno si svuoti, che diventi insipido e apatico come solo il vuoto sa essere.
e ce ne sono altre, invece, che non si curano minimamente del cubo brillante da mostrare agli altri, il risultato è che sono quello che davvero sono, trasmettono la genuinità dell'autentico, la forza della semplicità, il sorriso vero, senza mediazioni, senza l'ipocrisia di chi si affanna a mostrarsi per quello che nemmeno è. vedere le persone con uno strato in meno, libere dal quella sporcizia apparente che si appiccicano addosso con l'intenzione di imbellettarsi.
oggi sono andata ad una laurea di una mia amica, ed è stato bellissimo vedere quanto risaltasse per semplicità rispetto agli altri, che differenza ci fosse da chi si nascondeva dietro un guscio insipido di formalità. parenti ed amici, ma senza quei tailleurs e tacchi alti che con la cultura c'entrano ben poco, quei fotografi nemmeno fosse un matrimonio, quegli eccessi di fiori e baci da chi, magari, prova solo invidia.
quando (ed un se scaramantico) ci arriverò, neanch'io voglio lustrini e scintillii anche se farà strano con amici che si mischiano in questo mio universo bislacco.

giovedì 22 febbraio 2007

nero su bianco

mi chiedo se sia l'incredulità che colora di un'aura onirica i contorni del reale
mi domando da cosa dipenda la sfumatura con cui sono dipinte nella mia mente le immagini di alcune ore, un ricordo dalla consistenza di una nuvola, così trasparente e leggera, da chiedermi se davvero c'è stata
vedermi quella testa dai capelli scuri con la lingua ad attorcigliare i miei piccoli capezzoli sensibili mentre le mani gareggiano nel tunnel del piacere, quegli stessi capelli tra le mie gambe ed i gemiti che non riescono a cessare anche se una luce passa, fuori. un respiro caldo accanto ritmato sempre più veloce interrotto solo dalle lingue che si impastano vicendevolmente. scavare tra gli strati delle tshirt fino a raggiungere la pelle, sbottonare i pantaloni e togliere una cintura. cercare attorno alla peluria soffice il caldo deciso del tuo complementare e lasciare che sotto la mano si liberi nella sua forza fino ad aspettare che esploda viscosamente tra le dita ed il polsino. gambe più magre delle mie, ma ricoperte da un tappeto morbido che le scurisce. e poi il freddo che fa ritirare su le mutandine nere che mi ero sentita sfilare pian piano nell'enfasi. richiudere i pantaloni e le zip, dimenticare solo un reggiseno slacciato sotto alla canotta.
come le altre volte, mescolo la piacevolezza all'oblio, arrivo a farne un melange con i sogni, in modo tale da non riuscire mai a fermare le sensazioni con chiarezza sulla mia mente, non riesco mai a ricordarmene così bene da esserne saziata, da non continuare a sentirmi incompleta ed aver voglia di riniiziare per arrivare ad urlare per il piacere.
ma per una volta, mi accontenterei anche di un contatto che non sia necessariamente fisico, di qualcosa di più o di meno, a seconda di come si consideri il rapporto tra psiche e corpo (ammesso che non sia un continuum).
e mi mangio le dita perchè non capisco il rapporto di causalità che muove i neuroni contrassegnati da un'y nei cromosomi e forse è proprio questo che ne costituisce l'attrazione che provo.

mercoledì 21 febbraio 2007

avvolgersi

ripercorro i chilometri che mi separano dalla città lenta sotto l'impulso veloce della mia pedalata
nelle narici l'odore forte del muschio di fiume
quel sapore che mischia infanzia e natura
il sole splende, ma ancora tenero, velato dalla lente di un febbraio caldo
e non riesco nemmeno più a sentirmi sola, benchè, forse io continui ad esserlo e le mie inquietudine troppo spesso sono le uniche a tenrmi compagnia
ma è bello vedere la lenta trasformazione in amici di chi avevi incontrato per cambiare il mondo

lunedì 19 febbraio 2007

paranoia...ra due b i a

la voce inquieta di un vecchio cd mi rimbomba nelle orecchie

paranoia ra duebbi ia
poche le scelte chiuso nella gabbia
devo sfondarla
io non la sopporto addosso
faccio tutto ciò che posso ma lo faccio adesso*

blog senza cura, necessita grafomane di appuntare dietro un'ombra i miei pensieri

solo davanti ad uno schermo, involontariamente incollonnati in relativo ordine binario posso tentare di non annegarci dentro

*H.C. Conflitto Assalti Frontali

più basi, ma con la lingua

vicenza velata attraverso una cortina di stanchezza
felice ed illusa, consapevole che fosse così
e leggere i cartelli appesi al collo della gente, che, armata di pennarelli, rivendica, finalmente, la voglia di abbattere la delega, capisce che una scheda in un'urna è una sconfitta, non una conquista
e, se l'italiano non ha ancora spazzato via la lingua cantilenante di quelle terre c'è chi si appunta
anche "più basi, ma con la lingua", perchè i baci sì, ma le basi militari proprio no
ma leggere di baci non può non rispedirmi a qualche ora prima, al motivo per cui mi trovo a crollare stanca ad ogni passo, alla ragione per cui il letto non l'ho neanche visto prima di partire
è strano, ma mi è successo così poco di vedere nascere nelle settimane i giochi di sguardi, di carezze, piano piano, impercettibilmente conoscersi
e finire abbracciati mezzi spogli al freddo, giocando con i vicendevoli piaceri, dover lavare una felpa, stellata di bianco
e prima nell'angolo di una porta, tra imbarazzo e soddisfazione ad ogni apertura, e su una sedia a cavalcioni, guardando con insensata invidia lo specchio delle nostre azioni
la barba scura corta che quasi non si sente anche se sfrega
e mi chiedo se non è stato un trip, se nella tequila sunrise non ci fosse allucinogeno. ma no, quella manica sporca è inequivocabile segno della realtà, la stanchezza che mi ha intaccato le ossa per essere passata senza un'ora di sonno ai chilometri della manifestazione ne è una prova.
perchè, seduti ad un tavolo a poca distanza, mi taglia come una lama quello sguardo distante e perso, quella lontananza che pare chilometrica, anche se le pizze sono l'una di fronte all'altra. i capelli che mi sembrano cresciuti, o forse è solo un riflesso del tempo che mi sembra trascorso. e non riuscire a capire, perchè non è nemmeno la prima volta che accade ed avrei dovuto preparami, lo sapevo, ma non avevo difese. ho voluto giocare tutte le carte e nella vittoria mi sono trovata nuda senza scudo. e appannare le lenti con le lacrime, non riuscire a fissare lo schermo di un film degli anni settanta, doversene andare per mascherare le gocce dagli occhi calde sul viso.
vedere i semafori come stelle perchè il riflesso degli occhi umidi me li frastaglia. ed è la stessa auto, rabbia verso di me che, questa volta, non ho saputo resistere, e lo so che non sono stata io a scolpire nella mia testa i pensieri. e se ci penso nemmeno mi piace, un po' caricatura di bambino, ma non posso fare altrimenti.

lunedì 12 febbraio 2007

stronzo bastardo

sono un'artista nel crearmi illusioni, ma sono altrettanto abile nel gettare le basi per disilludermi se l'impalcatura irreale l'ho creata io
e se invece no, se c'è qualche stronzo fottuto bastardo del cazzo che c'ha pensato lui a gettare i presupposti ed alimentare il fuoco per poi versarmelo addosso, non mi resta che cercare di spegnerlo con le lacrime.
odio. possibile che non si può essere in grado di orientare coerentemente le proprie azioni nel giro di 24h (ed anzi meno)??!
stavo facendo il mio caffè che non saliva nella vecchia caffettiera enorme. ero soddisfatta per l'aver dato una mano concreta in quella che mi sembrava sempre più casa. ed avevo visto un'ombra in salotto, ma l'avevo voluta lasciar tale, quel braccio attorno ad un altro collo mi era stato sufficiente per non soffermarmi sul cappuccio che troppo mi aveva distratto. ed ero rientrata sotto la cappa dismessa ad armeggiare con la cucina industriale. Chi cazzo ti ha detto di entrare per venirti a scusare? Chi cazzo ti ha detto di venirmi a parlare? perchè? e perchè hai fatto di finire sotto gli sguardi di tutti per sei ore su un fottutissimo divanetto stile chillout? Chi cazzo ti ha fatto muovere le mani, fottuto bastardo? Eh? io non ho chiesto nulla, così come quando, trasognata di ritorno dall'estate, chiacchieravo di futuro nel tepore di una sera di inizio settembre senza rompere i coglioni a nessuno. e chi minchia ti ha fatto avere il bisogno di venirmi a cercare tutte le volte che l'hai fatto, quando i miei pensieri erano da altre parti? chi cazzo ti ha chiesto qualcosa, foss'anche solo un sorriso o un abbraccio. stronzo. e allora perchè nel giro di ventiquattrore sei capace di starmi vicino ignorandomi? senza degnarmi di uno sguardo, mentre le lingue pungenti indagano lo stato di salute della nostra serata precedente. solo una cosa: VAFFANCULO a te e a me che so di ricascarci, casomai ce ne fosse l'occasione.

domenica 11 febbraio 2007

soffice tortura

un divano morbido e caldo
una stufa calda ed attraente
ma tanto il freddo non c'è più
un abbraccio e qualcosina di più
vodka lemon o whiskey cola
tante carezze, troppi incroci di mani sguardi e dita sotto i vestiti
ma bocca troppo asciutta senza neanche un bacio
capelli scuri accarezzano le guance
un chiloom che passa, ma non è quello che mi fa dimenticare il proposito di chiudere i neuroni ad ogni altra serata morbida a vicolo cieco
è l'illusione che si ricrea come il fegato di prometeo
è una costruzione mediata da voci di corridoio che fermentano in direzioni sbagliate i miei pensieri già corrotti dal desiderio
è la mia debolezza ad un abbraccio stretto ed ad una voce ruvidamente piacevole che ritorna dopo non avermi neanche degnato di uno sguardo
sarò io che non capisco, ma perchè tutt'attorno appare così semplice, così rosa ciò che si traduce invece nell'incertezza elettrica in un'auto gelata?

lunedì 5 febbraio 2007

"continuando si perchè, ci piace farci male"*

luna scartavetrata lungo il seno sinistro
il sale delle lacrime volate via solca le mie guance secche
è incredibile come io abbia una corazza che non mi fa scorticare quando so che non rivedrò mai più quegli occhi, quel corpo con cui ho fatto sesso e lascia trapelare come una lama affilata nella carne qualche semplice carezza.
lo sapevo, solo che un conto è sapere di essersi forse illusa, un altro è sbatterci la faccia contro, trasformare naso e labbra in una pozza di sangue, sentire le ossa scricchiolare man mano che i presentimenti negativi ti scorrono, reali, davanti agli occhi. e poi sperarci ancora, giocando a farsi ancora più male, perchè un inizio roseefiori andrebbe contro tutte le leggi di Murphy e della fisica.

e mettere in dubbio il mio posto, perchè in fondo non ho mai capito dove fosse, quale fosse quello giusto, ammesso che ne esista uno.
sento il freddo della solitudine in un inverno caldo e senza ghiaccio, la brezza tiepida che mi aveva accarezzata si è trasformata in una corrente gelida che mi raffredda la schiena.
e io ci spero ancora...

* Arsenico To HC - La nostra storia - Nottide 2001

giovedì 18 gennaio 2007

principessina sul pisello

è strano come io finisca inevitabilmente a prendere carta e penna per cercare di calmarmi.
sono monotona e contorta, ma la banalità delle inquietudini riesce comunque a preoccuparmi.
mi illudo che il contatto fisico con le parole, nero su bianco in un foglio o pixel di uno schermo, sia il primo passo per trovare una soluzione.
navigo tra i resti di zaini sfatti, con i vestiti appallottolati ed il sacco a pelo da ritirare. detesto dovermi disfare delle valigie, contrasto evidente della staticità del presente. e meno che mai ho la concretezza per disporre razionalmente gli oggetti.
dovrei essere felice, ma mi trovo preoccupata. è facile scoprire che è una contentezza fittizia quella raggiunta con obiettivi troppo poco ambiziosi.
e poi, per la prima volta dopo tanto tempo, mi vedo assiduamente riempire la mente dall'immagine di qualcuno, mi trovo a pensarci improvvisamente con un sorriso sulle labbra. non so cosa significhi, ma troppo poco spesso ha portato alla serenità di un abbraccio postcoitum di pettorali freschi nella notte, troppo sovente si è tradotto invece in solitarie tisane risolte con l'accollarmi una colpa che non c'è. e forse non è solo dovuto alla tele se non riesco a cercare il conforto necessario ad una bimba trasognata negli occhi ammalliati dallo schermo di chi vorrei mi ascoltasse.
perchè, per quanto anagraficamente sia grande, mi vergogno di scenate infantili, a rivendicare una mia autonomia che so bene non si esplica nel pagare una bolletta o tenere il caos attorno a me. aspetto un bando erasmus per giocare ai dadi con il mio futuro e l'unico timore è restare sola. perchè è inutile farsi delle aspettative quando il tempo non dipende da me, quando, anche a mezza italia da qui, un cappuccio grigio mi fa sobbalzare. senza neanche sapere, in fondo, se sia stata l'elaborazione di venti giorni di solitudine o davvero fosse tutto com'era. illusioni che si sgretolano a contatto con il vero. non mi manca troppo per scoprirlo, anche se temo che non sarà mai abbastanza.

venerdì 12 gennaio 2007

buon compleanno, piccola

sorrido irrequieta, guardo l'azzurro di un gennaio caldo che mi coccola e mi accarezza
voglio che i miei occhi spazino verso il mare aperto del domani, ma, per una volta, lo sguardo verso la terra ferma dell'ieri non è così cupo, anche se pieno di mille "però".
oggi, anche la carta attesta che sono cresciuta, un po' mi inquieta vedere il due accompagnato dall'1, ma poco mi importa di quello che dicono i documenti. quello che mi auguro è la determinazione, il coraggio, la voglia nel fare e nel vivere ciò che vorrei. so che crescere spesso equivale a disillusione, ad aggiungere sfumature a quella tavolozza della naiveté così semplicemente spartita tra male e bene, ma è anche il conoscere universi sommersi all'innocenza che nella loro malizia di mondo corrotto lasciano trasparire una realtà molto meno illusa. e quando si colora di felicità, sai che è una patina, ma realmente vera. infrangere i sogni da bambini può costare caro, cadono i miti, ma non mi fa paura vedere tutti gli uomini sullo stesso piano, e sai che non è gerarchia se qualcuno sta più a lungo in cima ai tuoi pensieri. mi guardo attorno e mi chiedo cosa sia cambiato, è incredibile quanto tutto e nulla possano condividere la stessa risposta. mi vedo diversa, ma solo quando ho di fronte una prova tangibile di ciò che ero, perchè mi sento di aver seguito sempre la stessa linea, forse contorta ed ingarbugliata, ma capisco che è a piccoli pezzi che riesco a decifrare il puzzle. sento forse di aver ceduto a più compromessi, ma poi capisco che ne ho semplicemente preso coscienza, perchè c'erano anche prima ma io nemmeno li vedevo, e questo può essere il primo passo per eliminarli. ed eccolo il mio domani colorato di punti interrogativi, più mi avvicino ad uno di essi e non so come si trasformerà, se diverrà un'esclamazione di gioia o di delusione, un punto fermo od una virgola di passaggio. forse ho imparato che io ne sono l'artefice solo a metà, una mezza parte essenziale, ma che da sola non basta. come un organismo umano, è inutile che il cuore batta se il cervello non è sveglio, ma le cellule cerebrali si attivano solo se i muscoli cardiaci si contraggono. forse è un alibi per riuscire a sopravvivere all'enorme carico di responsabilità che mi tormentava, è la trasposizione di di quella querelle irrisolta tra paradigma dell'azione e della struttura che vedo capeggiare sui libri da studiare. io però voglio dirigere le fila per quanto posso della mia esistenza, non mi nascondo dietro l'apatia comandata, non mi lascio trascinare dall'inerzia che senza fatica ti porta avanti, a patto di rinunciare ad ogni goccia di adrenalina. e questo continua ad intimorirmi, perchè non so se ne sarò poi così capace, ci vuole nulla per lasciarsi dirigere da un pacchetto precompilato. non so se me ne reputo in grado, non so quando mi stuferò di nuotare contro la corrente, ma mi auguro di riuscirci, quando ne ho voglia. gli obblighi li lascio agli altri, che hanno vogli di imporli ed inevitabilmente di eseguirli, ma mi auguro anche di volerlo sempre, perchè che una felicità coerente arriva più tardi, ammesso che arrivi, ma con un'intensità che batte orgasmicamente quella procurata dalla tranquillità di un compromesso accettato e firmato a testa bassa. ma ho anche imparato che al caldo davanti ad un pc, si scrive sempre facilmente, battere tasti non crea calli ed la sedia non rompe la schiena.
ma so anche tenere a bada la mia consapevolezza fermandomi ad osservare le farfalle gialle che svolazzano tra i rami, un mazzo di fiori da una zia, un biglietto sulla scrivania e la busta sul display che lampeggia in continuazione.

buon compleanno, piccola









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venerdì 5 gennaio 2007

dolce attesa

camminare su un soffito, aspettando lo spigolo della stanza per ritornare con i piedi a terra e la testa per aria, con una paura incerta della realtà che non dipende da me, che devo leggere specchiata in occhi a qualche centimetro dai miei.
e non è l'attesa, leopardianamente bella, che mi preoccupa, è quel volo che mi farà atterrare, senza il bagaglio delle mie illusioni, sapientemente costruite ad opera d'arte; è la paura che l'incantesimo svanisca nel frattempo, o forse che non sia mai esistito o che non mi interessi più. perchè serbare qualche giorno sul nastro dei miei ricordi non può impedirne la distorsione, la rilettura sotto un'ottica sbagliata o, se relativamente giusto ed errato non esistono, almeno non condivisa. sono incostante, perchè pretendo che gli altri non lo siano?
nella stanza accanto, ogni schiocco di baci è per me un brivido, freddo come i capelli bagnati appiccicati alla testa. ma sono felice, mi perdo trasognata a scrivere con un pennnarello cancellabile, attendo fiduciosa. per una volta, voglio che il tempo passi, anche se mi ha sempre intimorito. le lancette dell'orologio mi sono amiche quando le vedo accelerare, anche se non vanno altrettanto veloci le pagine che dovrei sfogliare, anche se ci sono scadenze di cui fingo di dimenticarmi. oh oh oooh. mi chiedo che differenza ci sia tra i sogni al caldo sotto le coperte ed i giorni in cui l'adrenalina è scorsa davvero, apro le mani e non vedo, in nessun caso, impigliata la prova della loro esistenza. accendo la radio e mi riallaccio ad una realtà di cui non c'è traccia se non ben incisa tra le stradine delle mie sinapsi. so di essere colpevole della sua incertezza, ormani non ci faccio nemmeno più caso, sorrido e mi basta.
sono stupita del fatto che questa volta non sembra comparire la mia troppo accondiscendente accettazione che mi ha portato a tollerare anni di distanza come non avrei mai creduto. sarà che cinque giorni sono ancora troppo pochi, ma non so dove girarmi e non voglio cancellare. sembra che paradossalmente sia fuggita la distinzione tra pazienza e fretta, perchè se n'è volata via anche quella tra razionalità e quel desiderio di cercare con lo sguardo un sorriso di una voce.

mercoledì 3 gennaio 2007

vicino al madagascar, sulla sinistra

rimando di dodici giorni i bilanci per l'anno che è trascorso
nel frattempo mi gingillo a voler cancellare dal vocabolario il termine utopia, o almeno, a non voler accostarlo più alla parola anarchia. certo, pagando il prezzo di pensare a 15 gradi come al caldo, e di spaventare le madamin con la richiesta di un fazzolettino da usare nel cesso senza porta, perchè il papiercul è finito o non poter cucinare anche volendo, perchè la cucina è un frigo e il frigo è il deserto. ma che importa, quando il tempo non esiste e sul frigo capeggia la scritta KILL THE LEADER? quando fai perchè vuoi e se vuoi, senza capi ne' leggi a produrre per se stessi, e reclamare libertà di fronte al plexigas, perchè si è tanto individualisti da voler passare il capodanno tirando botti in faccia al carcere minorile. ed è anche quando i riflessi degli ultimi tronchi sembrano l'acqua del mare illuminata dal sole. ma forse quella è un altra storia, di coccole e carezze, sfiorarsi dolcemente anche giocando a schiacciarsi le mani, trovarmi stranamente sperduta non appena un'y10 parte e non trovare ristoro nemmeno in chiacchiere in francese. guardarmi intorno e non sapere dove andare, perchè erano un po' di giorni che un posto caldo ce l'avevo, un abbraccio sicuro. e così fingere nell'attesa bugiardamente nascosta nell'indifferenza e poter sorridere solo dopo. ma nulla è per sempre, e all'una e mezza il tempo scade, anche se non sai se illuderti in due settimane di studio. eppure mi chiedo il perchè, razionalmente inconsistente, di intrecciare mani più pulite delle mie, di cercare l'ebrezza della trasgressione in chi, non solo per gli anni, è forse più ingenuo di me. ma forse quello che era un consiglio pronunciato dallo specchio dei medesimi capelli scuri si sta rivelando una previsione, che ora mi sembra assai più appetibile di quella serata bellavita. e forse potrebbe accadere ovunque, anche se mi riesce impossibile respirare senza l'ossigeno dei vincoli glabri di denaro e potere.