vicenza velata attraverso una cortina di stanchezza
felice ed illusa, consapevole che fosse così
e leggere i cartelli appesi al collo della gente, che, armata di pennarelli, rivendica, finalmente, la voglia di abbattere la delega, capisce che una scheda in un'urna è una sconfitta, non una conquista
e, se l'italiano non ha ancora spazzato via la lingua cantilenante di quelle terre c'è chi si appunta
anche "più basi, ma con la lingua", perchè i baci sì, ma le basi militari proprio no
ma leggere di baci non può non rispedirmi a qualche ora prima, al motivo per cui mi trovo a crollare stanca ad ogni passo, alla ragione per cui il letto non l'ho neanche visto prima di partire
è strano, ma mi è successo così poco di vedere nascere nelle settimane i giochi di sguardi, di carezze, piano piano, impercettibilmente conoscersi
e finire abbracciati mezzi spogli al freddo, giocando con i vicendevoli piaceri, dover lavare una felpa, stellata di bianco
e prima nell'angolo di una porta, tra imbarazzo e soddisfazione ad ogni apertura, e su una sedia a cavalcioni, guardando con insensata invidia lo specchio delle nostre azioni
la barba scura corta che quasi non si sente anche se sfrega
e mi chiedo se non è stato un trip, se nella tequila sunrise non ci fosse allucinogeno. ma no, quella manica sporca è inequivocabile segno della realtà, la stanchezza che mi ha intaccato le ossa per essere passata senza un'ora di sonno ai chilometri della manifestazione ne è una prova.
perchè, seduti ad un tavolo a poca distanza, mi taglia come una lama quello sguardo distante e perso, quella lontananza che pare chilometrica, anche se le pizze sono l'una di fronte all'altra. i capelli che mi sembrano cresciuti, o forse è solo un riflesso del tempo che mi sembra trascorso. e non riuscire a capire, perchè non è nemmeno la prima volta che accade ed avrei dovuto preparami, lo sapevo, ma non avevo difese. ho voluto giocare tutte le carte e nella vittoria mi sono trovata nuda senza scudo. e appannare le lenti con le lacrime, non riuscire a fissare lo schermo di un film degli anni settanta, doversene andare per mascherare le gocce dagli occhi calde sul viso.
vedere i semafori come stelle perchè il riflesso degli occhi umidi me li frastaglia. ed è la stessa auto, rabbia verso di me che, questa volta, non ho saputo resistere, e lo so che non sono stata io a scolpire nella mia testa i pensieri. e se ci penso nemmeno mi piace, un po' caricatura di bambino, ma non posso fare altrimenti.
lunedì 19 febbraio 2007
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