un'amalgama di colori e sensazioni si accalca sulle mie dita in attesa di essere trasformata in parole e frasi. il sabato mattina il telefono continua a squillare ed e sempre la calda voce francese al di la del filo. ma sono troppo timorosa, questa volta, per trasgredire alle voci sagge di tutti che, come sempre, mi consigliano di restare. insistenza che mi lascia un po' basita e gioco il peggio gioco dicendo "ti farò sapere" (del resto, dr. hannibal c'est le plus mechant des animals).
un pomeriggio caldo tra la brezza degli alberi di periferia, un'atmosfera che varrebbe la pena rincorrere, tra offerte di birra e un orto di caprette e piantine a sette punte, un'auto che non parte, tangenziale che sembra autostrada d'agosto, supermercati condizionati. e la sera, dopo tanto tempo, in un parco in cui ho lasciato un frammento di cuore, scarico cassette di verdura dall'orto e mi dimentico completamente di lanciare un'occhiata un po' più in la. e un mosaico in più non è una differenza abbastanza grande per segnare il tempo trascorso. e seduti a chiacchierare il tempo va (anche se un'assemblea strana e preferisco fornelli e fantasia). una strada al buio lungo la ferrovia, facce scure e semafori lampeggianti. arancio dei lampioni e grigio dell'asfalto si fondono ai margini del parabrezza. e con il sole in faccia di una mattinata afosa, due ragazze in un ingrosso di materiali edili sembrano extraterrestri, maschilismo cavalcante che vede tra i mattoni solo chi ha qualcosa che penzola tra le gambe. e "signorina mi raccomando, in senso di marcia!" perchè anche le auto le sanno usare solo loro. e poi un abbozzo di vita, alle undici caffè della sveglia (e, perchè, perchè non ci sono anche io?) in una strada proibita alle auto. poi l'angoscia degli ospedali, forse più ricordata, ma toccabile tra le strade di un isolato pieno di croci rosse e mura gialline, persone che traballano insieme alle loro lastre nelle cartelline gialle, stampelle, fasce e bendature anche tra chi cammina per le vie. espressioni tristi rassegnate di chi attende il bus con gli esiti in mano e, ancor più di chi sbuca su una barella dall'ascensore tra i camici bianchi che puzzano d'antibiotico. ed un bimbo scuro sulla soglia a scambiare monetine con premonizioni di buona fortuna per la guarigione. voglio andarmene togliendomi al più presto dall'inesorabilità biologica. ed i miei vecchietti si limitano ad ingoiare triatec e xanax (e se c'è qualcuno che si fa di morfina non sono nemmeno io a scrivere la ricetta).
un aperitivo che inizia alle nove, posticipato per ravioli e pollo da spolpare (odore del sangue di volatile che mi nausea) pochi sugli scalini colorati e caldi, musica e qualche canna. e veloce verso una festa tzigana che è già finita e scoprire che c'è chi parte e non dovrebbe. ritmo di un bongo in riva al fiume, la terra che sembra sabbia, insalate di pasta, couscous e grano, gente che balla, e qualche sagoma inaspettata. ho sete, ma non c'è altro da bere che il succo scuro di un pintone. so porre le basi per la mia infelicità e mi obbligo ad andarmene, so che mi aspetta un menu da preparare e servire. e su e giù per le scale con vassoi e pentole fino a che le gambe fanno male. incredibilmente per nulla a piegare in due i triangolini di pasta fresca, dosare il curcuma con le noci frantumate. ed è domenica, anche se il cielo si è scurito la viscosità del tempo torna a fare capolino.
domenica 1 luglio 2007
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