l'amaro del te' mescolato al caffe' mi impasta i denti con la sua patina porosa
teleschermo dei presentimenti realizza in anticipo le scene del vero
e questa volta nemmeno una lacrima, perchè, crollato una volta il castello di aria ed illusioni, non può più venir giù
e cerco i fiori tra le macerie, perchè so che ci sono
ostento indifferenza ma il piloro stringe, l'alcool trangugiato troppo velocemente, misto al gelo dei miei sentimenti, reagisce in un acido sorprendentemente amaro che si fa sentire in passi solitari sull'asfalto
ed anche la luna si è nascosta dietro qualche foglia di ortica, tappi e sassi contro cui scalciare un astio che non ha motivo di essere, se non in quegli ormoni che mi percorrono bollenti le vene, messi in circolo da un cuore assai irrazionale
pancardcor melodico mi scorre sulle orecchie, scalfendo solo di striscio la mia voglia di urlare. perchè non è rabbia, è amarezza. è aver voglia di vomitare, sentendosi la bile sulla lingua, catalogna sulle papille gustative ed in mezzo ai neuroni. ed è strano che in mezzo a saggi di etnolinguistica non mi accorga che morfologicamente amaro ed amare sembrano fratelli
mi scotto raccogliendo un'ortica e bevendo il succo del tarassaco che trae in inganno dal giallo così invitante del suo fiore.
domenica 18 marzo 2007
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